Friday, November 22, 2024

Lavoratori con il bollino blu. Non solo qualificati e specializzati quindi, ma anche certificati. Si apre così, con la validazione delle competenze, una fase nuova per il mercato del lavoro, nella quale tutto sarà verificato, attestato e poi, per così dire, codificato secondo uno schema europeo uniforme. Ogni individuo quindi, dal lavoratore precario al professionista diplomato fino al superlaureato con tanto di master, avrà davanti agli occhi la propria mappa dei saperi accumulati lungo tutto l’arco della vita che potrà di volta in volta aggiornare rivolgendosi a enti titolati a farlo.

E a essere riconosciute e certificate non saranno solo le conoscenze e le abilità acquisite, come dicono gli addetti ai lavori, in percorsi formali cioè a scuola o all’ università (cosa che in parte avviene già), ma anche le diverse esperienze maturate in luoghi informali, quindi al lavoro, durante il tempo libero, o nel contesto familiare. Purché siano incasellabili in quegli otto livelli stabiliti dall’Europa all’interno dei quali gli stati dovranno indicare una corrispondenza di titoli e qualifiche rilasciati a livello nazionale. L’obiettivo? Restituire a ogni singolo individuo il valore del proprio apprendimento, mettendolo in trasparenza, garantendone il riconoscimento e la spendibilità nel mercato del lavoro.

Il contesto europeo. Una spinta forte alla certificazione è arrivata dall’Europa che oltre 20 anni fa ha iniziato ad affrontare il problema a partire dai meccanismi di mutuo riconoscimento tra paesi delle attestazioni di qualifiche professionali rilasciate, per incentivare la mobilità di studenti e lavoratori. Nelle raccomandazioni degli ultimi anni (2004, 2008, 2009), poi, la Ue ha spinto sempre più i piedi sull’acceleratore affinché i governi assumessero impegni concreti per dotarsi di un sistema di validazione degli apprendimenti maturati anche al di fuori dei sistemi di formazione. Sollecitando gli stati a muoversi in un quadro di regole condivise per permettere una leggibilità e una riconoscibilità trasversale degli esiti di tutte le esperienze.

Snodo fondamentale in questo senso è stato l’Eqf (European qualification framework) cioè il Quadro europeo delle qualifiche pubblicato nel 2008 con l’obiettivo di leggere le qualifiche e i titoli rilasciati dai diversi stati membri secondo un codice condiviso. In sostanza, le competenze che la persona possiede potranno essere misurate in otto livelli progressivi di qualificazione dal più basso (1) al più alto (8), superando l’approccio tradizionale che vede la qualificazione basarsi solo su contenuti, programmi e durata dei percorsi. L’Unione europea con una raccomandazione precisa (23 aprile 2008), poi, ha chiesto agli stati di rapportare i propri sistemi di qualifiche all’Eqf.

E quello italiano. Seppure con ritardo rispetto alla maggior parte degli paesi europei anche l’Italia, negli ultimi anni, ha dato una decisa spinta al sistema di certificazione. A fine 2012 dalla Conferenza stato-regioni è infatti stata approvata l’intesa che contiene un quadro sinottico di referenziazione delle qualificazioni. Tale griglia colloca i titoli e le certificazioni rilasciate dal sistema educativo e formativo negli otto livelli. In sostanza sono stati resi noti tutti i titoli e le certificazioni rendendoli comparabili a quelli degli altri paesi europei.

Subito dopo, è stato approvato il decreto legislativo 13/2013, in vigore dallo scorso 2 marzo, che introduce un sistema nazionale di certificazione delle competenze, in attuazione della riforma del lavoro Fornero (legge n. 92/2012). In molte realtà esisteva già questa possibilità (scuole, università, centri per l’impiego) ma queste opportunità spesso erano solo sulla carta, o non erano per tutti (spesso si trattava di singoli progetti o sperimentazioni) e soprattutto non avevano regole e diritti comuni.

La norma sulla certificazione. Il dlgs sistematizza in una disciplina unitaria una serie di istituti, alcuni già esistenti (come ad esempio la certificazione a conclusione dei percorsi formali di studio), altri di nuova introduzione (come la validazione degli apprendimenti acquisiti nei diversi contesti di vita), che fanno capo a una vasta platea di autorità pubbliche centrali e regionali competenti in materia di valutazione e rilascio di titoli, certificati e qualifiche. Le competenze, infatti, sono individuate e validate da un ente, come definisce la norma, «titolato», pubblico (una amministrazione centrale o locale) o privato (per esempio, una agenzia formativa o una camera di commercio) al quale si rivolgerà chi intende ricevere la certificazione.

Tutto dovrà poi essere riconducibile al Repertorio nazionale dei titoli di istruzione e formazione e delle qualificazioni professionali che raccoglierà e metterà in correlazione tutti i repertori esistenti dell’ordinamento italiano che fino ad oggi con grandi eterogeneità, contengono i titoli di studio, i certificati di formazione di ogni livello e territorio e i profili delle qualificazioni professionali. Il repertorio si limita a coordinare in una prospettiva di interleggibilità e mutuo riconoscimento (in termini di crediti europei), i repertori costruiti dei rispettivi sottosistemi dell’istruzione, della formazione professionale.

Fonte: Italiaoggi.it